LA SERA
LA SERA
Chiudi tu la persiana
su quest’altro giorno che passa,
io mi aggrapperò ancora
all’ultima luce vegliata,
anche alla più lontana,
come quella che tra poco
cadrà dall’orizzonte,
perché voglio ancora credere
che di questo giorno
ne ho ancora tanto da vivere.
(Anna Ducci)
(Genova, 23 febbraio 2009, lunedi)
359_DAL DIARIO DI FIRPO_3nel pieno inverno di guerra
il poeta s’incontra con gli amici ai giardini,
al riparo lui crede dalle spie di regime
si scambiano sottovoce gli accenni
che a fatica hanno colto tra le righe
di giornali blindati,
esultano alle incalzanti sconfitte
che s’intuiscono dietro i titoli reticenti,
s’incupiscono alle gridate vittoriose avanzate:
ma nessuna notizia è sicura
nemmeno se giunge da un quartiere diverso
della stessa città
ancora
sulla panchina si passa da entusiasmo a sconforto,
avvolti nell’incertezza come in un pesante cappotto,
con angosciata speranza si prova di continuo
a comporre la frase con le parole disponibili,
a immaginare le troppe mancanti.
(Genova, 23 febbraio 2009, lunedi)
358_PUNTO DELLA SITUAZIONEun pallido sole dietro le tende tirate di un nuvolone,
una polvere sospesa sul confine di acqua e terra,
una piantina riversa nel vaso,
un povero ciuffo che ha subito le offese del gelo,
una testina avvolta nella coperta tra le rovine
un mattino sbiadito senza calore,
un tiepido consenso
per una ipotesi a breve scadenza e minimo costo,
uno sguardo accigliato a chi ci viene incontro,
un ascolto svogliato alle confuse ragioni di un altro,
una rassegnata attesa della paura che oggi ci tocca.
(Genova, 13 febbraio 2009, venerdi)
357_GUERRA DI UN GIORNOin lontananza due bianchi galeoni spinti da oriente,
si aggregano con altre nuvole minori
in una flotta distesa per tutto l’orizzonte:
non si distingue bandiera che ci risolva il dubbio
se portano l’aiuto che abbiamo richiesto
o siamo perduti per l’arrivo dell’invasore
poi la giornata ci distoglie dall’attesa
che sfilino via o avanzino contro
e quando rialziamo la testa,
delle preoccupanti vicende del mattino rimane
una nuvoletta sul tramonto sospesa
tra due case uno stiletto di sole in ultimo affondo
s’infila e resta confitto per qualche istante sul muro,
poi un mantello infodera e spegne
lama e luce nel viola:
si allenta di notte la presa sul manico del coltello.
(Genova, 12 febbraio 2009, giovedi)
356_SFILATAunico bottone la luna su camicia azzurra
poi il mattino se ne accorge
e tra cipresso e tetto la fa sparire sotto la cintura
più tardi il giorno indossa un gran colletto
di pizzo bianco disteso
e all’ora di pranzo sfoggia
un panciotto di tessuto compatto:
se ne libera nel pomeriggio
per mostrarsi a macchie di grigio e rosa
finchè avanza l’ora
dove si volta e in vestaglia di seta,
scompare in corallo e viola.
(Genova, 9 febbraio 2009, lunedi)
355_RISALITApiume bianche staccate
da un’ala della notte riavvolta nel suo nido,
rimangono sospese
nel corso di una lenta caduta sull’acqua
intanto a terra si accendono le mimose,
a segnale di contraria direzione
inverdisce in cima il rameggio bruciato,
la ruota stridendo
dal fondo risale l’opposta pendenza.
(Genova, 8 febbraio 2009, domenica)
354_MINESTRA
scosto la tenda, apro le persiane, entro nel mattino:
una sciarpa svolazza da un collo fuori vista,
è la nuvola che ci taglia oggi il panorama
tra una pancia di piuma
e un piatto liquido di mercurio, piombo e cromo
al risveglio ritroviamo la cena rimasta sul tavolo,
la stessa fredda scodella di torbida minestra
in cui ci comandano d’infilare il cucchiaio
e noi a bocca serrata ci giriamo contro il muro:
a questo cielo prepotente
anche oggi non ubbidiremo.
(Genova, 7 febbraio 2009, sabato)
353_IL SUONOcome allo sbocco di un tubo risuona dal basso
il fischio lungo del treno:
il vento vi soffia dentro e trasporta
i due toni d’allarme delle grù in moto,
il ronfare delle navi in attesa di partenza,
lo scorrere delle ruote su asfalto e binari,
un rombo lontano che precede
lo scroscio d’acqua in corsa verso di noi
se noi tendiamo l’orecchio al suono del mondo,
è un cigolio senza sosta di porte di ferro,
dischiuse al nostro ingenuo ingresso
e al termine, quando da rifiuti ne veniamo espulsi.
(Genova, 6 febbraio 2009, venerdi)
352_NELLA POZZA
una spugna gonfia e grigia incombe:
gocciola e gronda alla mano che la strizza
poi più leggera e chiara si solleva
e lascia lucido il paesaggio
che pulito a fondo, inverdisce
in mezzo al nero splendente
alla pioggia il merito
di farci capire qualcosa della giornata:
da specchio lo sguardo ritorna
e come potremmo essere, vediamo nella pozza.
(Genova, 5 febbraio 2009, giovedi)
351_PARAGONI
tutto quello che in un senso ieri è trascorso,
ora torna indietro:
nuvole di aspetto diverso salgono a monte
e con gli stessi componenti di sempre
ottengono un risultato che appare nuovo in assoluto
un tratteggio di pioggia sfuma il ponente,
ancora una volta in questo mattino
ci raggiunge inzuppa e sorpassa,
s’incupisce poi rischiara:
nella minaccia, ci rassicura con il conforto di uno spiraglio
poi chiude ogni speranza a metà del giorno
di continuo sottoposti al moto di alterne fortune,
di tensioni per aria che scaricano a terra il loro contenuto,
di forze opposte in conflitto,
di correnti in ascesa e declino,
diffidiamo delle previsioni che finora ci hanno convinto
non si presentano mai allo stesso modo i temporali,
pur nel costante ciclo delle stagioni:
solo noi con la volontà di cambiare
possiamo rompere con questi paragoni tra la natura
e il nostro vivere,
separarci da ogni immutabile somiglianza,
prendere il controllo degli eventi per una direzione migliore,
dove poi godere senza confronti
della ripetizione mutevole di pioggia e sole.
(Genova, 4 febbraio 2009, mercoledi)
350_I SACCHI
il vento si è accanito per un giorno intero contro di noi,
senza riuscire nemmeno a dilatare la bocca
del sacco che ci contiene,
di tela grezza e sporco sul fondo di ruggine e terra:
trascinato sul ferro della stiva,
deposto sul cemento del piazzale,
caricato sulle assi del carro
una pila di sacchi
disposti a strati e ben chiusi,
con una data su ognuno marchiata di nero,
con altre simili si perde nell’ombra
a volte una foto, una voce, una riga, una cifra,
ci richiama sulla porta del magazzino:
che sconforto ci prende alla vista
dei mucchi di anni conclusi e riposti alle spalle,
allineati sotto la debole luce delle lampade
ci camminiamo in mezzo esitando
e in molti riconosciamo gli strappi ricuciti
da cui schivando la torcia del guardiano,
di nascosto abbiamo rubato dei giorni al ricordo.
(Genova, 2 febbraio 2009, lunedi)
349_PAURA DI NEVE
richieste di aiuto dalla collina imbiancata:
qualcuno salga quassù a spargere il sale
sulla ripida strada,
ci colleghi con il resto del mondo,
non ci lasci isolati dai nostri simili
che in ambiente meno avverso detestiamo,
ci aiuti a smorzare il gelo che intorno a noi si spande,
a trattenere lo scarso calore
che da tempo disperdiamo
soffiano giù
i lamenti dalle cime dove ognuno si è rifugiato:
strada interrotta causa diffusa paura,
passo non percorribile per ostilità crescente
a denti stretti e visiera calata,
con catene indossate affrontiamo
questo inverno costante che prosegue nelle altre stagioni.
(Genova, 31 gennaio 2009, sabato)
348_ARIA DI NEVE
la coperta scura tirata sulla testa
scopre un lenzuolo livido rosa:
è il margine estremo di un cielo di ferro,
il bagliore fumoso della fornace
dalla fessura del coperchio annerito
alla finestra occhio nell’occhio alla stessa altezza
con il giovane gabbiano che nuota nell’aria di neve,
in direzione opposta a un inservibile mare
dal nostro riparo lo teniamo appeso,
contro le raffiche per nostro conto,
come non sappiamo più fare
a disprezzo di pioggia e vento.
(Genova, 29 gennaio 2009, giovedi)
347_ARANCE
arance dall’alberello cadute sul cemento
del giardinetto prigioniero,
frutti sprecati di tanto impegno
a cercare il sole riflesso tra i muri:
sfere sul biliardo di una partita incompleta
rotolate a marcire in angolo,
tiri di sponda di scarso risultato
nel silenzio della sala
vibra lo schiocco dello scontro tra le sfere:
la pietra sotto il panno
è la stessa nera materia di tetti e lavagne
che attutisce il rimbalzo e stride al gesso in mano
sto in silenzio davanti ad una operazione
di cui non trovo risultato,
ad una frase che riscrivo senz’accettare la punizione:
sono sempre il solito alunno ribelle
alle cui domande nessuna scuola risponde
nell’ultimo banco, alla fine dei giochi,
selvatico e amaro
come le povere arance in terra,
ornamento di ville in riviera, qui cresciute in tristi cortili.