MISURA e TRASCRIVI

MISURA e TRASCRIVI

gennaio a Genova

gennaio a Genova

Nuvole

Nuvole
foto di Anna Ducci

LA SERA




LA SERA

Chiudi tu la persiana
su quest’altro giorno che passa,

io mi aggrapperò ancora
all’ultima luce vegliata,

anche alla più lontana,
come quella che tra poco
cadrà dall’orizzonte,

perché voglio ancora credere
che di questo giorno
ne ho ancora tanto da vivere.

(Anna Ducci)


martedì 30 settembre 2008


martedì 23 settembre 2008

(Genova, 5 settembre 2008, giovedi)_265
ARRIVI #31 (panorama)

All’ennesima rotatoria aveva imboccato
la direzione sbagliata:
se ne accorse quasi subito
ma proseguì almeno fino al bivio,
per vedere se ritrovava un segnale utile,
un cartello di paese conosciuto,
una traccia di passaggio recente

da tempo non incontrava nessun mezzo
in senso contrario
e nemmeno era stato seguito e superato:
dall’altura modesta dove si era fermato,
villaggi dai campanili aguzzi
in una distesa di campi e intreccio di strade
e boschi lungo la riva

il grande fiume largo e lento scorreva
da bronzo in acciaio e piombo al mutare del cielo:
laggiù uno sbarramento univa le due sponde,
un sistema di chiuse frenava la corrente,
una strada che lo percorreva
era quella che doveva raggiungere.
(Genova, 5 settembre 2008, giovedi)_266
ARRIVI #32 (il ciclista)

Era giunto a metà del percorso
e ormai si vedeva sull’altra sponda
una piazzola di sosta con tavoli e panchine,
sotto bandiere di una nazione diversa
e un’auto ferma sul bordo

una persona scese
e restò un istante a guardare nella sua direzione,
poi andò a gettare qualcosa
nel cestino dei rifiuti,
risalì e filò via sulla dritta strada nel bosco

alle sue spalle arrivò frusciando un ciclista
che lo superò pedalando con moderato impegno,
raggiunse il cestino,
vi frugò dentro,
infilò un oggetto nella tasca posteriore della maglia
e ritornò verso di lui.

(Genova, 5 settembre 2008, giovedi)_267
ARRIVI #33 (l’oggetto)

Mentre avanzava, il ciclista però cominciò a rallentare,
come se avesse iniziato ad affrontare una ripida salita
o stesse sopportando un insostenibile crescente peso,
che lo costrinse ad ondeggiare
e a pochi passi da lui
a cadere stremato

quando si chinò stava ansimando
e in un attimo rimase sdraiato senza vita
con gli occhi sbarrati:
un gonfiore nella tasca sulla schiena
aveva la forma dell’oggetto preso nel cestino

ne trasse una busta imbottita
che palpando rivelava
il volume piatto e rotondo del suo contenuto:
si guardò intorno e la ripose nello zainetto,
tornando verso la sponda di partenza

sotto di lui l’acqua tumultuosa
frenata e divisa dalle porte di acciao,
riprendeva il suo corso in unico flusso.
(Genova, 5 settembre 2008, giovedi)_268
ARRIVI #34 (alla locanda)

Quella sera nella sua stanza,
alla locanda sopra il ristorante,
chiusa la porta e tirate le tende,
estrasse dalla busta l’oggetto conteso

era un ciotolo nero, lucido e tondo,
senza nessuna incisione,
al tatto di freddo metallo
ma che tenuto più a lungo in mano
emanava un crescente piacevole tepore,
un’avvolgente sensazione di tranquilla sicurezza,
di sorgente calma e trattenuta forza interiore

la pietra, non sapeva meglio definirla,
aveva una custodia di rete metallica intrecciata,
con collana e fermaglio per indossarla:
l’appese al collo e poi si sdraiò,
disteso a mani congiunte,
come un guerriero sepolto con il gioiello più prezioso
che senza memoria delle sconfitte subite nel tempo,
riposa sotto la volta del tumulo.

(Genova, 5 settembre 2008, giovedi)_269
ARRIVI #35 (al mattino)

Al mattino scendendo per la colazione
con il bagaglio già pronto,
notò che un nervoso mormorio,
una conversazione intensa agitava gli avventori:
sbirciando la prima pagina del giornaletto locale,
carpì dai commenti attorno al bancone
che uno straniero in bicicletta era morto sulla diga
e alloggiava in quella stessa locanda
e proprio nella camera accanto alla sua

a quel punto terminò con calma,
saldò il conto e uscì disinvolto dal retro,
sulla stradina in cui la sera prima
aveva lasciato l’auto,
mentre davanti all’ingresso
arrivava il furgone blù della gendarmeria

passato il confine,
la strada evitava le città
seguendo il contorno tortuoso dei laghi:
il tiepido peso sul petto
lo compensava del lungo tragitto.

venerdì 19 settembre 2008

(Genova, 18 settembre 2008, giovedi)
264_FINE STAGIONE

una libellula dorata
è rimasta prigioniera per tutta la notte in casa:
verso la luce ritrovata,
frusciando come le pagine sfogliate da un colpo di vento,
sbatte le ali e fugge via
sotto un cielo di piombo

in lenta manovra,
le nuvole si ormeggiano con calma
e versano il carico loro,
poi più leggere si alzano a vela:
in un piatto di pioggia finisce l’estate,
un foglio di carta che vola, s’inzuppa e scolora

il mio specchio avverte:
il tempo è per ognuno
una freccia che trapassa le stagioni,
scocca luminosa, si conficca nel buio.

lunedì 15 settembre 2008


(Genova, 4 settembre 2008, giovedi)_257
ARRIVI #21 (nel vicolo)

I mattoni del muro si sfarinavano al tatto,
corrosi dall’umidità

una striscia verdastra correva sui lati,
accompagnata in parallelo da un bordo nero
lungo il selciato di lastre di granito

sul percorso non c’erano porte
e le piccole finestre in alto
erano tutte chiuse

il vicolo procedeva diritto e in leggera pendenza
verso uno sbocco luminoso:
ondeggiando gli saliva incontro
il riflesso dell’acqua del canale.
(Genova, 4 settembre 2008, giovedi)_258
ARRIVI #22 (sul canale)

Eppure aveva seguito con attenzione
le indicazioni ricevute per lettera:
era sceso alla giusta fermata del vaporetto,
aveva superato il ponticello,
costeggiando la piccola piazza con la chiesa,
percorso il bordo del rio
e infilato il secondo voltino

ma ora si trovava
con tre gradini davanti che finivano nell’acqua verde

di fronte, sulla riva opposta,
un portone di tavole senza più traccia di vernice,
intingeva il bordo fradicio nell’onda,
che scendeva e risaliva sui gradini muschiosi

l’ora abbagliante
cadeva nel canale stretto e deserto
e riempiva ogni direzione di sguardo,
come il lungo muro da cui spuntavano
fronde di alberi e rampicanti.

(Genova, 4 settembre 2008, giovedi)_259
ARRIVI #23 (in barca)

Poi un’anta del portone si scosse
in un fremito di legno consunto
e lentamente si spalancò:
una barchetta nera uscì dalla penombra dell’arco
e tagliando come un ponte natante il canale,
con la punta piatta urtò la sponda

era dunque questo il tratto mancante del suo percorso:
sedutosi al centro e con le mani strette ai bordi,
su di esso venne tirato all’interno,
dove la luce riflessa disegnava onde di ambra e smeraldo,
come sulla volta e le pareti di una grotta marina

all’approdo, l’uomo che l’aveva trainato nella darsena coperta,
lo aiutò a scendere, indicandogli una scala
per il piano superiore.
(Genova, 4 settembre 2008, giovedi)_260
ARRIVI #24 (fra i libri)

La grande stanza era avvolta in una penombra dorata,
per le persiane accostate e lo schermo di lunghe tende

ogni spazio delle pareti era coperto da scaffali di libri,
con quelli più rari e preziosi protetti da sportelli vetrati:
una sottile patina di polvere velava
gli altri sparsi sui tavoli attorno,
tranne un portatile impianto di elaborazione in attesa

un uomo anziano dai capelli bianchi e arruffati
era seduto s’una sedia a rotelle
dietro una grande scrivania con pile di volumi ai lati,
dalle cui pagine sporgevano bianchi f oglietti
e davanti fascicoli ordinati e pagine tenute da fermagli

si salutarono con un cenno
e invitato a sedere gli consegnò la busta
per cui era giunto fin lì:
il vecchio cominciò a leggere,
mentre lui lasciava correre intorno lo sguardo
sui dorsi in pelle rossa, verde, nera con i titoli dorati
e più in alto dietro i vetri
ai tomi esangui in pergamena

venne distolto dal farfugliare incomprensibile del vecchio,
che gli si rivolgeva mostrando la lettera
finora scorsa in silenzio:
preoccupato di non riescire a capire nulla,
si sporse in avanti per una spiegazione
ma quello impugnò una campanella di ottone
e l’agitò in aria tre volte.

(Genova, 4 settembre 2008, giovedi)_261
ARRIVI #25 (i simboli)

Da una porta laterale scostando una tenda,
entrò una giovane donna dall’aspetto dimesso
con i capelli biondi raccolti a coda
e occhiali di spessa montatura,
che si chinò verso il vecchio
annuendo al suo borbottio

si presentò come la figlia
e subito iniziò ad estrarre dagli armadi i libri citati sul foglio:
doveva riversare alcune riproduzioni
sulla minuscola memoria digitale che lui le porse,
staccandola dal nastro appeso al collo

mentre lei era intenta alle diverse operazioni,
il vecchio gli spinse incontro un antico libro,
aperto ad una pagina illustrata:
con ammirato stupore si rese conto
che si trattava di uno dei testi ovunque citati
e di cui forse quello era l’unico esemplare esistente

erano pagine di
ermetici simboli,
intricati emblemi,
complicate allegorie
di elaborati stati e trasformazioni di spirito e materia.
(Genova, 4 settembre 2008, giovedi)_262
ARRIVI #26 (a sorpresa)

Uscì da una porticina
in un vicoletto appartato
che sboccava in una piazza con un pozzo al centro
e un bar sull’angolo

era la piazza
dove si affacciava l’ingresso principale della casa da cui era uscito
e che appariva chiusa e trascurata,
come il giardino che s’intuiva tra le sbarre del cancello arrugginito

ai tavolini due turisti sostavano con cappuccino e cartina davanti
e mentre si chiedeva perché l’avessero fatto entrare ed uscire
da quella casa in modo così riservato,
un vecchietto si affacciò da uno dei vicoli
e volgendosi attorno guardingo,
imboccò una calle con passo malfermo:
era lo stesso che infermo l’aveva ricevuto
dietro la scrivania e le pile di libri

lasciò in fretta tazzina e moneta sul banco
e cercò di seguirlo ma quello
era già sparito ad una svolta

continuò comunque esitante
fino a sbucare s’un largo canale
proprio mentre passava
con rombante sciacquio un lucido motoscafo
guidato da una donna bionda dai capelli sciolti,
con avvolgenti occhiali da sole
e in svolazzante vestito bianco:
quella che prima si era presentata come figlia solerte
e ora pilotava il natante verso l’aperta laguna

tornato indietro con sconcerto,
chiese al barista qualche notizia
sulla casa affacciata di fronte:
era la dimora rimasta inabitata
di un anziano professore
morto da qualche mese
che non avendo eredi
aveva lasciato tutti i suoi libri al comune.

(Genova, 4 settembre 2008, giovedi)_263
ARRIVI #27 (sul battello)

Sul pontile in attesa del vaporetto
che l’avrebbe riportato verso il centro,
soppesava il ciondolo al collo:
quale prossima mossa poteva accadere
nel gioco d’inganni?

per ora solo
il cigolio delle catene di ormeggio,
il gabbiano sulla cima del palo,
il fischio e la prua del battello
che lo staccava da terra,
la scia e il ribollire di pozzanghera nella calura.

con un balzo saltò a bordo per ultimo
e si mise a poppa,
l’uomo che sulla barca l’aveva tratto a sè nell’ombra.

martedì 9 settembre 2008

(Genova, 3 settembre 2008, mercoledi)_248
ARRIVI #1 (in viaggio)


Da quanto tempo fosse partito
non ricordava più,
con tutte quelle soste alle frontiere e ai posti di blocco,
in cui il suo passaporto spariva in un gabbiotto
e tornava gualcito e vistato
in mano a una scorbutica guardia


si penetrava nel territorio,
in una lenta marcia scandita da colpi di timbro
e sguardi con sospetto,
in coda fra grugniti e gesti bruschi

una volta la ferrovia per intero e diritta,
entrava in quei paesi
ma ormai era spezzata dai confini cresciuti per traverso
e costringeva a frequenti trasbordi,
a discese, controlli e risalite,
in stazioni sempre più sorvegliate.


(Genova, 3 settembre 2008, mercoledi)_249
ARRIVI #2 (alla stazione)


Nella stazione di arrivo,
il flusso dei viaggiatori che scendeva dal treno,
per un maggiore controllo
era tenuto separato da quello in partenza


nella stanza tra i binari e l’uscita,
un funzionario dagli spessi occhiali,
affiancato da un robusto gendarme
e da un giovane mingherlino
che faceva da interprete,
verificava i documenti del gruppo,
allineato lungo le pareti fra pacchi scatole culle involti valigie

mentre esitava ad entrare,
cercando di decifrare i cartelli alle pareti
che intuiva insistenti e imperiosi,
fu avvicinato da un uomo vestito di blù
(che aveva già intravisto sul treno, qualche sedile più avanti)
che con sollecita fermezza lo guidò all’uscita

in quella città esisteva solo un albergo per stranieri
e l’unico mezzo per raggiungerlo,
era proprio il furgone con i vetri oscurati
che lo stava aspettando fuori dalla stazione

un taciturno autista guidava lentamente,
solo il culmine dei tetti scorreva oltre il bordo
non opaco dei finestrini.

(Genova, 3 settembre 2008, mercoledi)_250
ARRIVI #3 (in albergo)


L’albergo per stranieri
era un edificio con un passato moderno,
come il resto del quartiere fuori dal centro,
circondato da un piazzale alberato
e cintato di rete metallica


alcune auto con targa di altri paesi,
erano nel posteggio e impolverate
come se fossero ferme da tempo,
altre vicino alla porta pulite e pronte all’uso

al banco era atteso e senza sprecare parole
gli fu consegnata la chiave:
la sua stanza era al primo piano,
in fondo ad un corridoio sorvegliato da telecamere
in opposte direzioni,
con una passatoia verde che avanzando
smorzava i passi stanchi in felpato fruscio


(Genova, 3 settembre 2008, mercoledi)_251
ARRIVI #4 (nella stanza)


Nella stanza un grande specchio
era fissato sulla parete di fronte al letto:
il resto dell’arredo era di confortante squallore


la finestra si apriva s’un cortile interno,
un quadrato di persiane chiuse:
da ogni angolo della grondaia
un rivolo d’acqua scorreva sul cemento,
una croce verdastra si riuniva allo scarico nel centro

aveva piovuto, com’era consueto
in quella stagione di nebbie al mattino, afa meridiana
e temporali al tramonto

alla vista dell’acqua gli venne sete
ma il piccolo lavandino in un angolo a piastrelle,
rendeva scomodo anche riempire il bicchiere,
opaco, grosso e pesante sulla mensola cromata.

(Genova, 3 settembre 2008, mercoledi)_252
ARRIVI #5 (la porta sbagliata)


Il bagno era all’altro capo del corridoio:
una stanza grande rivestita di piastrelle ingiallite
e percorse da un reticolo di crepe,
che osservate con calma e a breve distanza,
riproducevano il territorio e le strade che aveva percorso finora


un cartello dietro la porta,
avvisava che si potevano verificare mancanze
non prevedibili di corrente elettrica

infatti uscendo dal bagno,
il corridoio era immerso nella penombra:
procedendo a tentoni verso la propria stanza
e credendo di averla raggiunta, cercava di aprirne la porta
ma quella resisteva

a un maggiore impegno finalmente si spalancò
s’una parete di mattoni
e con sgomento restò a guardare
l’ingresso murato di una finta stanza

la sua vera porta era quella accanto
e dopo averla richiusa a chiave,
vi si appoggiò contro ansimando:
per la mancanza di corrente,
forse le telecamere non avevano visto nulla

prese una coperta dall’armadio
per coprire lo specchio di fronte al letto

mentre chiudeva le persiane,
il cortile era sempre silenzioso e sbarrato,
come per le nuvole la striscia di cielo sul tetto.


(Genova, 3 settembre 2008, mercoledi)_253
ARRIVI #6 (al mattino)


La luce accesa sul comodino
era segno del ritorno di corrente durante la notte


un cielo di latte dietro le tendine

un caffè imitato male al tavolo del ristorante deserto

una cameriera severa in grigio grembiule
e borsetta alla cintura

un portiere con una busta per lui
e il suo nome stampato in nero,
con qualche lettera più consunta e sbiadita

un fuoristrada infangato che lo aspettava in moto
alla porta dell’albergo

un autista di qualche parola e molte curve
per uscire dalla città

i palazzi a cubo diventavano casette
con orti murati e tetti spioventi,
ma tutto rimaneva grigio
di polvere al vento e nuvole basse correnti

ormai da tempo erano in piena campagna
finchè ad un anonimo incrocio deviarono
dalla strada principale in una secondaria
e dopo ancora in un’altra sterrata,
senza visibili cartelli e nessuna direzione indicata.

(Genova, 3 settembre 2008, mercoledi)_254
ARRIVI #7 (alla miniera)


La miniera a cielo aperto
era una immensa pentola senza coperchio,
interrata nel mezzo della pianura


dal bordo una serie di alti gradoni
scendeva in cerchio verso il fondo,
dove macchine di scavo
alzavano polvere e suono di ferraglia

percorrendo la rampa che contornava le pareti,
gli sembrava di calarsi nello stampo
di una torre di babele
che percorrevano al contrario,
affondando nella terra invece che sfidando il cielo

del resto quello che pensava di trovare al termine,
non era simile al paradiso.


(Genova, 3 settembre 2008, mercoledi)_255
ARRIVI #8 (sul fondo)


Sul fondo dello scavo lo attendevano degli uomini in divisa.
Ad uno di loro consegnò la busta con il suo nome.

Dopo un rapido esame della carta e del suo aspetto,
venne accompagnato verso una squadra di persone,
in tuta grigia e caschetto giallo
ed altre con gradi e tenute mimetiche


dopo uno scambio di strette di mano e cenni del capo,
di nomi subito fraintesi e ruoli già confusi,
lo condussero alla zona recintata,
affollata di automezzi infangati e generatori in rumorosa funzione

una grande tenda era stata montata contro la parete di roccia,
l’ingresso sorvegliato da un cerchio stretto di uomini armati:
all’interno un tavolo ingombro di carte e strumenti,
una lavagna ricoperta di calcoli,
di date cerchiate, di simboli e frecce,
di domande sospese e risposte cancellate

entrando gli porsero un paio di stivali di gomma
e indossò come gli altri un casco giallo:
era pronto per proseguire verso una porta bianca,
che s’intravedeva dietro un telo sulla parete opposta.
(Genova, 3 settembre 2008, mercoledi)_256
ARRIVI #9 (la porta di acciaio)

Entrarono in una stanza bianca e senza finestre,
con luce diffusa e aria condizionata


lungo due lati erano allineati dei tavoli,
e un gruppo era chino e operante su schermi e tastiere

notò con piacere che fra gli occupanti
c’erano delle donne e qualcuna anche di piacevole aspetto,
perquanto in veste di combattente

ma lo sguardo curioso non veniva per nulla ricambiato,
tanto l’aria era satura di nervoso attivismo,
di opinioni scambiate a bassa voce,
di ronzio di memorie, ticchettio di stampanti e soffio di ventole

di fronte, sulla parete opposta in fondo alla stanza,
c’era un’altra porta, ma di acciaio
e con l’aspetto di un portello stagno di nave,
dalla soglia rialzata e senza maniglie o serrature,
con una tastiera di numeri e spie luminose pulsanti

era quella che fissava, quando un uomo anziano
si alzò e gli venne incontro,
a stringergli entrambe le mani,
a guardarlo dritto negli occhi,
a dirgli con parole scandite:
"L’abbiamo condotta fin qui, perche solo lei ci può aiutare".